Gesù: pacifista rivoluzionario o guru ambizioso?
- Vamy
- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 4 min
Una riflessione laica e (un po’) provocatoria
Quello che leggerai è frutto di una riflessione intima e libera, nata dal desiderio di esplorare con spirito critico e spirituale una figura storica e simbolica che ha attraversato i secoli: Gesù.
Non si tratta di verità assolute né di mancanza di rispetto, ma di domande che nascono da una mente curiosa e da un cuore in ricerca.
Non credo nelle narrazioni dogmatiche, ma credo nella forza delle storie e nel potere che hanno di ispirare, cambiare, smuovere.
Se ti va, leggilo con mente aperta. Anche il dubbio, dopotutto, è un atto sacro.

Mettiamo da parte, solo per un momento, tutto ciò che ci hanno insegnato. Lasciamo scivolare via le aureole dorate, le candele in chiesa, le statue, i dogmi, le liturgie.Immaginiamo di trovarci nel I secolo, in una Palestina occupata, carica di tensioni politiche e religiose, in cui il malcontento del popolo ribolliva sotto il giogo dell’Impero romano.
E lì, nel mezzo, immaginiamo un uomo.
Non un dio. Non un’entità celeste. Solo un uomo.Che parla di pace, di amore, di giustizia. Che scuote le coscienze.Ma anche un uomo nato in una famiglia benestante, con accesso a testi, insegnamenti, conoscenze non comuni. Un uomo che indossava abiti di qualità, come ci raccontano alcune fonti. E che, proprio grazie alla sua posizione sociale, aveva “gli agganci giusti”: entrature nel mondo religioso, culturale, forse anche politico del tempo.
Un uomo che sapeva parlare. Che sapeva attirare.Che usava parabole come strumenti di comunicazione efficaci.Che conosceva l’arte dell’oratoria, della provocazione, della creazione di simboli potenti.
E allora la domanda sorge spontanea:Gesù era davvero un messia, un profeta illuminato?O era anche — o soprattutto — un guru carismatico, forse affascinato dalla propria immagine, dalle proprie idee, dal potere che aveva sulle folle?
Forse entrambe le cose.
Perché se da un lato emerge il ritratto di un uomo guidato da ideali spirituali, dall’altro è difficile ignorare l’aspetto fortemente strategico della sua ascesa. Gesù non predicava semplicemente: costruiva un personaggio, un’identità. Parlava in terza persona, parlava del “Figlio dell’Uomo” come fosse un concetto più ampio, ma chiaramente alludeva a sé stesso.Lasciava intendere di essere l’atteso. L’unico. Il predestinato.
C’è in lui, a ben guardare, una certa megalomania. Non nel senso patologico, ma nel senso mitopoietico: Gesù crea un mito intorno a sé, consapevolmente. E lo fa usando gli strumenti tipici di chi desidera restare impresso nella storia.Non solo parole, ma gesti simbolici (come entrare in Gerusalemme a dorso d’asino, come i re di pace), richiami profetici, riferimenti alle Scritture.Gesù si mette in scena. Conosce il peso dei segni, sa dove colpire.E questo non lo sminuisce. Anzi. Lo rende ancora più interessante. Perché non è un ingenuo, ma un uomo che ha ambizione e visione.
Possiamo immaginarlo come un uomo che sentiva realmente una forza più grande dentro di sé, ma che sapeva anche quanto fosse potente la narrazione, quanto valesse l’immagine di sé che gli altri avrebbero ricordato. Un uomo che forse credeva davvero di essere il Messia, ma che ha anche scelto di diventarlo. Di incarnarlo. Di costruire la propria leggenda.
Pensiamo a John Lennon, tanto per fare un paragone moderno: un uomo influente, pacifista, carismatico. Cantava l’amore universale mentre il mondo andava in guerra.Eppure anche lui era ricchissimo, vestiva con stile, viveva in attici lussuosi, e coltivava un’immagine pubblica fortemente curata. Era, in un certo senso, un’icona costruita. Un idealista? Sicuro. Ma anche un uomo profondamente consapevole del proprio potere.E forse proprio per questo — come Gesù — faceva paura.
Perché la pace detta con convinzione, l’amore che si oppone alla violenza, la libertà che sfida il potere… sono armi potentissime.E quando queste armi vengono brandite da qualcuno con carisma e intelligenza politica, diventano una minaccia concreta.
E così, forse, Gesù non è morto solo perché era “buono”.Ma perché era pericoloso. Perché sapeva toccare corde profonde, parlare al cuore delle persone, costruire una narrativa potente e rivoluzionaria intorno a sé.Un uomo che faceva paura a Roma, ma anche ai poteri religiosi locali.
Un uomo che ha usato la spiritualità come strumento di ribellione, ma che allo stesso tempo si è posizionato come l’unico detentore di quella verità. E questo dualismo non è un difetto, è una chiave di lettura fondamentale.
Certo, può darsi che abbia incarnato un messaggio d’amore puro, una rivoluzione spirituale autentica. Ma può anche darsi che abbia coltivato una visione personale eroica di sé stesso, forse persino alimentata dal bisogno umano di essere speciale, unico, eterno.
E di fatto, ci è riuscito.
Forse è proprio in questa ambiguità, in questa tensione tra idealismo e ambizione, tra messianismo e costruzione consapevole del personaggio, che si nasconde il senso più profondo della sua figura:Un uomo che ha parlato agli ultimi ma non era uno di loro.Un pacifista che agitava le masse.Un rivoluzionario che conosceva il potere.Un maestro spirituale… e forse anche un uomo profondamente affascinato dalla propria grandezza.
E allora, anziché cercare un’unica verità, possiamo tenerle insieme tutte.Perché Gesù, come ogni figura storica complessa, non è solo ciò che ci piace credere.È anche ciò che ci scomoda. Ci provoca. Ci costringe a rimettere in discussione tutto, anche (e soprattutto) la spiritualità.
E forse proprio in questo sta il suo lascito più potente.
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